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Milano, (Mi) Italia

Casa urbana in via Prati

 

 

 

   

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Il lotto urbano oggetto dell’intervento, si trova ad est della porta Domodossola della vecchia Fiera di Milano, adiacente ad una parte di città che ha subito quello che possiamo ritenere il più grande e unitario processo di trasformazione all’interno del corpo della città, dal dopoguerra ad oggi. Nonostante il tessuto urbano più prossimo in cui insiste il lotto di progetto sia sostanzialmente omogeneo, è necessario ampliare il contesto all’intera parte di città prendendo in considerazione gli effetti di questo profondo stravolgimento morfologico.

Sorvolando sugli aspetti legati alla vicenda politico urbanistica che ha segnato questo eccezionale ambito di trasformazione, appare evidente come la definizione di questa spregiudicata conformazione insediativa, il modello ideale delle “torri nel parco”, ha come effetto l’alterazione della percezione di scala, della commensurabilità degli oggetti architettonici e della comprensione degli stessi rispetto all’ambiente urbano che li circonda. Il complesso di torri, contenitori commerciali e spazi aperti addensati al centro del vecchio recinto della fiera, poco fanno per celare un certo spirito ludico poco consono alla densa esperienza della modernità urbana dell’architettura milanese; un’esperienza che fu quella delle assonanze e dei pochi contrasti tenuti insieme da uno sfondo unitario e condiviso. La deliberata rottura con la capacità di accumulazione delle esperienze (già in crisi dagli anni Ottanta in poi), sembra essere invece la strada definitivamente imboccata senza più possibilità di ritorno.

Si introduce in via definitiva l’incongruenza e la discontinuità come fattori di sviluppo, sostenuti da un modello di pianificazione urbanistica che pare favorire più la libera espressione del sistema immobiliare con la sua efficacia attrattiva e finanziaria che lo strumento urbanistico come governo pubblico del territorio, alimentando lo sviluppo delle rendite con le sue pesanti ricadute sociali.

Superando le contemporanee retoriche sulla sostenibilità, la rigenerazione urbana e l'inquadramento nella generale "questione delle abitazioni" che torna prepotentemente all’ordine del giorno; l'esercizio dell'autocritica può trovare uno spazio in cui muoversi, dando allo stesso dei limiti precisi, ovvero all'architettura in sé. Una gara persa può essere una occasione di riflessione, soprattutto nel caso in cui i contenuti proposti e in questo caso perdenti, cerchino di allontanarsi dall’orizzonte commerciale che ha sullo sfondo il mercato del lusso, unicamente orientate ad ottenere il facile consenso di non meglio identificate nuove categorie sociali. Queste spinte tendono a definire infatti, una architettura come espressione dello status economico più che di un più tridimensionale ceto sociale che è effettivamente di difficile individuazione, il caso di “City Life” ne è, appunto, la palese dimostrazione.

Il progetto muove quindi da una specie di reazione istintiva che tenta di mantenere fermo un punto di vista compositivo, non tanto rispetto alla sedimentazione della storia urbana novecentesca e moderna, ma riproponendo il progetto come elemento preciso e autonomo che porta ad espressione i fondamentali della composizione e dell’architettura urbana.
Il progetto tematizza i propri limiti insediativi all’interno di una condizione urbana in cui un edificio di cortina si trova ad essere percepito come un lotto d’angolo. La realizzazione di uno sciagurato intervento della fine degli anni Novanta adiacente al lotto di progetto, arretrato sia dal filo stradale che dal lato in aderenza, rompe la continuità del fronte determinando una forte rottura morfologica e insediativa a livello di isolato urbano. Tale condizione impedisce al nuovo intervento di realizzare aperture sul fronte ovest, nonostante la considerevole mole del nuovo fianco/fronte risultante dalla scelta di dislocare le consistenze di progetto in forte arretramento dal filo stradale, ribadendo la continuità con la cortina edilizia esistente e incaricandosi di risolvere e concludere l’angolo urbano definito dal nuovo scenario.

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